Anna Maria Ortese: una visionaria lucida di Cristiana Buccarelli
Anna Maria Ortese è stata una visionaria lucida, una vera e propria vestale della parola, attraverso la quale è riuscita a realizzare una sorta di divinazione del reale. Nella sua opera letteraria vastissima ha lasciato che i suoi libri parlassero per lei attraverso una scrittura molto spesso sonnambula, a volte in bilico tra il reale e l’irreale, che può anche definirsi metafisica e traboccante di folgorazioni.
Fu emarginata e osteggiata soprattutto da un ambiente maschile di letterati e fece della sua solitudine una scelta di vita, tenendosi lontana dai salotti culturali e aborrendo l’idea di apparire, di essere intervistata, di dover avere un’immagine pubblica. Questo suo atteggiamento non era certo freddezza, ma rifiuto di un certo tipo di apparenza e di esteriorità già presente negli ambienti culturali e letterari dell’epoca, difatti la scrittrice aveva all’opposto un grande senso di solidarietà verso le persone in difficoltà, gli emarginati, i deboli, ed era interessata a questo genere di umanità: vivere non significava per lei accumulare riconoscimenti o denaro, ma cercare di capire qualcosa di più della natura umana.
Nel suo Corpo Celeste, che raccoglie varie riflessioni sul tempo e sull’esistenza in un insieme di conversazioni immaginarie della scrittrice con il poeta Dario Bellezza (e non solo) e che viene anche considerato il suo testamento spirituale, ci svela cosa sia per lei la scrittura: ‘’Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere. Chi scrive o legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando- per ragioni pratiche- è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. È un povero, e rende la vita più povera’’.
È sempre lei a dirci ‘’i libri, la scrittura, l’invenzione… sono ricordi e malattie dell’intimo. I libri sono ferite dell’anima. La perla è la malattia dell’ostrica. Scrivere è una malattia; mi costano molto queste cose luccicanti che cerco di costruire’’.
Tra i racconti de Il mare non bagna Napoli , il suo libro più conosciuto, c’è tuttavia una novella che non viene spesso menzionata e che s’intitola ‘Interno familiare’, in cui appare la figura letteraria indimenticabile di Anastasia Finizio; una donna sulla quarantina che non si è mai sposata ed ha preso su di sé tutto l’incarico di un’azienda di famiglia alla morte del padre, è lei il capo della casa di famiglia (una famiglia napoletana benestante), e vive con la madre, i fratelli e la sorella più giovane che si sta per sposare.
‘’Anastasia Finizio, la figlia maggiore di Angelina Finizio e del fu Ernesto, ch’era stato uno dei primi parrucchieri di Chiaia, e solo da qualche anno si era ritirato nel recinto soleggiato e tranquillo del cimitero di Poggioreale, era rientrata da poco dalla messa grande…era il giorno di Natale…Alta, magra come tutti i Finizio, con la stessa eleganza meticolosa e brillante, in contrasto con lo squallore e non so che decrepitezza delle loro figure cavalline, andava davanti e indietro per la camera da letto che divideva con sua sorella Anna, non riuscendo a contenere una visibile agitazione.’’

Il motivo di questa agitazione c’è, ed è che la cognata ha spifferato ad Anastasia che Antonio è tornato a Napoli dopo anni e le manda un saluto speciale.
Ma chi è Antonio? È ‘il giovane’, dice l’Ortese ‘a cui aveva pensato’, e lo aveva fatto durante tutta la sua giovinezza. E così Anastasia Finizio spera per pochissimo tempo di poter tornare a sentire il suo futuro come quello di una giovane donna;
‘’ Solo pochi minuti prima tutto era indifferenza e pace, freddezza e rassegnazione nel suo animo di donna giunta alla soglia dei quarant’anni, dopo aver perduto, senza accorgersene, ogni speranza di un bene familiare, ed essersi adattata piuttosto facilmente a una vita da uomo, tutta responsabilità, contabilità e lavoro’’.
La Ortese fa dunque penetrare il lettore nell’interiorità più segreta di Anastasia, nella sua essenza più autentica e silenziosa, e ci descrive un’epoca in cui una donna perbene doveva o sposarsi o rimanere in famiglia; non c’erano altre strade e le donne non erano libere di vivere come meglio credevano la propria esistenza.
Nel contempo crea lo sfondo di un coro greco, rappresentato dalla famiglia, soprattutto dalla madre, la quale egoisticamente spera che le cose non cambino per Anastasia; sarebbe scomodo per tutti non avere più un capofamiglia. E qui la Ortese mette in luce una serie di dinamiche familiari malate e infernali, dove ognuno è prigioniero di un suo ruolo in maniera inevitabile.
In realtà l’illusione di Anastasia di poter ancora essere giovane e di amare, si disgrega in breve tempo in quanto viene a sapere dalla madre che Antonio si è fidanzato e che è in procinto di sposarsi.
Infine, nella parte conclusiva di questo delicatissimo racconto, attraverso il personaggio di Anastasia, l’autrice fa una splendida riflessione sull’inafferrabilità dell’esistenza umana; ‘’ ‘Anastasia dovette andare in camera sua a prendere un fazzoletto. Aveva il cuore delicato come le corde di un violino, quel giorno, e a sfiorarlo suonava…tutto era così nuovo, così intenso nella sua semplicità quotidiana…ma perché in questa vita c’erano tante cose, c’erano la vita e c’erano la morte, i sospiri della carne e le disperazioni, le tavole imbandite e l’oscuro lavoro, le campane di Natale e le colline tranquille di Poggioreale…La vita era una cosa strana, la vita. Ogni tanto sembrava di capire che fosse, e poi tac, si dimenticava, tornava il sonno.’’
Tra i vari romanzi della Ortese, in cui la sua scrittura diventa magica e surreale voglio ricordare: ‘Il cardillo addolorato’, (il quale consiste in un’articolata rielaborazione del racconto lungo ‘Mistero doloroso’) e ‘L’iguana’. In queste due narrazioni esseri umani, folletti e animali umanizzati convivono, e l’autrice realizza una narrazione incantata che ha qualcosa della fiaba; c’è una profonda oscillazione fra il bene e il male e un racconto dell’esistenza umana attraverso figure allegoriche, che spesso rappresentano un miscuglio di malvagità e innocenza e che rappresentano la vita nelle sue molteplici forme: in tal modo la Ortese vuole dare voce agli oppressi, agli ultimi e inoltre dà un grande rilievo agli animali e alla natura tutta.
La Ortese ha ci lasciato un’opera letteraria straordinaria che ci dà una grande consapevolezza di cosa sia la scrittura, del suo necessario costruirsi con fatica e cura, del suo non poter essere sottoposta a semplificazioni, ma soprattutto della necessità di difenderla dall’idea intollerabile, che purtroppo dilaga nel nostro nuovo secolo per la quale spesso e volentieri essa viene considerata un prodotto commerciale.
Anna Maria Ortese con la sua scrittura avvolgente che strega può e deve essere considerata un fondamentale punto di riferimento per chi legge e per chi scrive.
Cristiana Buccarelli

Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli. È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019. Con il libro Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2021 ha pubblicato il suo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni). Conduce da svariati anni laboratori e stage di scrittura narrativa in Festival di letteratura e nella libreria Iocisto. Nel 2024 uscirà in stampa un suo nuovo romanzo.

Giugno 2023, Librellula n° 19
Anna Maria Ortese: una visionaria lucida di Cristiana Buccarelli
Anna Maria Ortese è stata una visionaria lucida, una vera e propria vestale della parola, attraverso la quale è riuscita a realizzare una sorta di divinazione del reale. Nella sua opera letteraria vastissima ha lasciato che i suoi libri parlassero per lei attraverso una scrittura molto spesso sonnambula, a volte in bilico tra il reale e l’irreale, che può anche definirsi metafisica e traboccante di folgorazioni.
Fu emarginata e osteggiata soprattutto da un ambiente maschile di letterati e fece della sua solitudine una scelta di vita, tenendosi lontana dai salotti culturali e aborrendo l’idea di apparire, di essere intervistata, di dover avere un’immagine pubblica. Questo suo atteggiamento non era certo freddezza, ma rifiuto di un certo tipo di apparenza e di esteriorità già presente negli ambienti culturali e letterari dell’epoca, difatti la scrittrice aveva all’opposto un grande senso di solidarietà verso le persone in difficoltà, gli emarginati, i deboli, ed era interessata a questo genere di umanità: vivere non significava per lei accumulare riconoscimenti o denaro, ma cercare di capire qualcosa di più della natura umana.
Nel suo Corpo Celeste, che raccoglie varie riflessioni sul tempo e sull’esistenza in un insieme di conversazioni immaginarie della scrittrice con il poeta Dario Bellezza (e non solo) e che viene anche considerato il suo testamento spirituale, ci svela cosa sia per lei la scrittura: ‘’Scrivere è cercare la calma, e qualche volta trovarla. È tornare a casa. Lo stesso che leggere. Chi scrive o legge realmente, cioè solo per sé, rientra a casa; sta bene. Chi non scrive o non legge mai, o solo su comando- per ragioni pratiche- è sempre fuori casa, anche se ne ha molte. È un povero, e rende la vita più povera’’.
È sempre lei a dirci ‘’i libri, la scrittura, l’invenzione… sono ricordi e malattie dell’intimo. I libri sono ferite dell’anima. La perla è la malattia dell’ostrica. Scrivere è una malattia; mi costano molto queste cose luccicanti che cerco di costruire’’.
Tra i racconti de Il mare non bagna Napoli , il suo libro più conosciuto, c’è tuttavia una novella che non viene spesso menzionata e che s’intitola ‘Interno familiare’, in cui appare la figura letteraria indimenticabile di Anastasia Finizio; una donna sulla quarantina che non si è mai sposata ed ha preso su di sé tutto l’incarico di un’azienda di famiglia alla morte del padre, è lei il capo della casa di famiglia (una famiglia napoletana benestante), e vive con la madre, i fratelli e la sorella più giovane che si sta per sposare.
‘’Anastasia Finizio, la figlia maggiore di Angelina Finizio e del fu Ernesto, ch’era stato uno dei primi parrucchieri di Chiaia, e solo da qualche anno si era ritirato nel recinto soleggiato e tranquillo del cimitero di Poggioreale, era rientrata da poco dalla messa grande…era il giorno di Natale…Alta, magra come tutti i Finizio, con la stessa eleganza meticolosa e brillante, in contrasto con lo squallore e non so che decrepitezza delle loro figure cavalline, andava davanti e indietro per la camera da letto che divideva con sua sorella Anna, non riuscendo a contenere una visibile agitazione.’’
Il motivo di questa agitazione c’è, ed è che la cognata ha spifferato ad Anastasia che Antonio è tornato a Napoli dopo anni e le manda un saluto speciale.
Ma chi è Antonio? È ‘il giovane’, dice l’Ortese ‘a cui aveva pensato’, e lo aveva fatto durante tutta la sua giovinezza. E così Anastasia Finizio spera per pochissimo tempo di poter tornare a sentire il suo futuro come quello di una giovane donna;
‘’ Solo pochi minuti prima tutto era indifferenza e pace, freddezza e rassegnazione nel suo animo di donna giunta alla soglia dei quarant’anni, dopo aver perduto, senza accorgersene, ogni speranza di un bene familiare, ed essersi adattata piuttosto facilmente a una vita da uomo, tutta responsabilità, contabilità e lavoro’’.
La Ortese fa dunque penetrare il lettore nell’interiorità più segreta di Anastasia, nella sua essenza più autentica e silenziosa, e ci descrive un’epoca in cui una donna perbene doveva o sposarsi o rimanere in famiglia; non c’erano altre strade e le donne non erano libere di vivere come meglio credevano la propria esistenza.
Nel contempo crea lo sfondo di un coro greco, rappresentato dalla famiglia, soprattutto dalla madre, la quale egoisticamente spera che le cose non cambino per Anastasia; sarebbe scomodo per tutti non avere più un capofamiglia. E qui la Ortese mette in luce una serie di dinamiche familiari malate e infernali, dove ognuno è prigioniero di un suo ruolo in maniera inevitabile.
In realtà l’illusione di Anastasia di poter ancora essere giovane e di amare, si disgrega in breve tempo in quanto viene a sapere dalla madre che Antonio si è fidanzato e che è in procinto di sposarsi.
Infine, nella parte conclusiva di questo delicatissimo racconto, attraverso il personaggio di Anastasia, l’autrice fa una splendida riflessione sull’inafferrabilità dell’esistenza umana; ‘’ ‘Anastasia dovette andare in camera sua a prendere un fazzoletto. Aveva il cuore delicato come le corde di un violino, quel giorno, e a sfiorarlo suonava…tutto era così nuovo, così intenso nella sua semplicità quotidiana…ma perché in questa vita c’erano tante cose, c’erano la vita e c’erano la morte, i sospiri della carne e le disperazioni, le tavole imbandite e l’oscuro lavoro, le campane di Natale e le colline tranquille di Poggioreale…La vita era una cosa strana, la vita. Ogni tanto sembrava di capire che fosse, e poi tac, si dimenticava, tornava il sonno.’’
Tra i vari romanzi della Ortese, in cui la sua scrittura diventa magica e surreale voglio ricordare: ‘Il cardillo addolorato’, (il quale consiste in un’articolata rielaborazione del racconto lungo ‘Mistero doloroso’) e ‘L’iguana’. In queste due narrazioni esseri umani, folletti e animali umanizzati convivono, e l’autrice realizza una narrazione incantata che ha qualcosa della fiaba; c’è una profonda oscillazione fra il bene e il male e un racconto dell’esistenza umana attraverso figure allegoriche, che spesso rappresentano un miscuglio di malvagità e innocenza e che rappresentano la vita nelle sue molteplici forme: in tal modo la Ortese vuole dare voce agli oppressi, agli ultimi e inoltre dà un grande rilievo agli animali e alla natura tutta.
La Ortese ha ci lasciato un’opera letteraria straordinaria che ci dà una grande consapevolezza di cosa sia la scrittura, del suo necessario costruirsi con fatica e cura, del suo non poter essere sottoposta a semplificazioni, ma soprattutto della necessità di difenderla dall’idea intollerabile, che purtroppo dilaga nel nostro nuovo secolo per la quale spesso e volentieri essa viene considerata un prodotto commerciale.
Anna Maria Ortese con la sua scrittura avvolgente che strega può e deve essere considerata un fondamentale punto di riferimento per chi legge e per chi scrive.
Cristiana Buccarelli
Cristiana Buccarelli è una scrittrice di Vibo Valentia e vive a Napoli. È dottore di ricerca in Storia del diritto romano. Ha pubblicato la raccolta di racconti Gli spazi invisibili (La Quercia editore) nel 2015, il romanzo Il punto Zenit (La Quercia editore) nel 2017 ed Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) nel 2019. Con il libro Eco del Mediterraneo (IOD Edizioni) ha vinto per la narrativa la V edizione del Premio Melissa Cultura 2020 e la IV edizione Premio Internazionale Castrovillari Città Cultura 2020. Nel 2021 ha pubblicato il suo romanzo storico I falò nel bosco (IOD Edizioni). Conduce da svariati anni laboratori e stage di scrittura narrativa in Festival di letteratura e nella libreria Iocisto. Nel 2024 uscirà in stampa un suo nuovo romanzo.
Iscriviti alla nostra Newsletter per ricevere la Librellula e restare aggiornato sulle ultime novità, le iniziative e gli incontri di IoCiSto.