Ho conosciuto Candido, di Davide D’Urso

31 Maggio 2023

Giugno 2023, Librellula n° 18

Raffaele La Capria

Ho conosciuto Candido

di Davide D’Urso

Rapallo 9 giugno 1986

Caro Raffaele, […]

Una delle cose che ho sempre ammirato in te – e di te – è la perfezione formale, anche del vivere.

Per non so quale ragione, tu non sembri trovarti mai in contrasto – contro – nessuna cosa o forma del vivere.

C’è anche quella bontà di cui ho parlato, che per me è il valore più caro…

Anna Maria Ortese

M’è venuto in mente d’un tratto, leggendo un racconto di Goffredo Parise dedicato a Comisso. E ho pensato che quella storia, in qualche modo, mi ricordava il maestro. Peccato che io non ricordi Parise in alcun modo.

Avevo conosciuto Candido durante un convegno. Una di quelle edificanti, soporifere iniziative istituzionali che, era chiaro, stava annoiando un bel po’ anche lui. Al momento dei saluti mi presentai col mio dattiloscritto, facendomi largo tra i lettori con l’impeto dell’esordiente. E infatti la faccia che fece, quando gli piombai davanti, sembrava proprio quella, la faccia di uno che ha realizzato di trovarsi di fronte all’ennesimo, subdolo manoscrittaro.

Lo vidi allontanarsi con il malloppo di fogli in mano ma non mi facevo illusioni, se ne sarebbe disfatto al primo cestino, mi dicevo.

Invece mi telefonò qualche mese dopo, io ormai non ci speravo più, quando: «Pronto?» «Sono Raffaele La Capria». E io: «Grazie». Fu allora che conobbi Candido. L’aveva letto, gli era piaciuto. Ma non era questo che mi rendeva felice, era il tono con cui ne parlava. Era una gioia limpida, quella che trasmetteva la sua voce, spontanea – niente a che vedere con l’incedere stridulo della mia generazione, sempre pronta a ritrarsi davanti agli altri nel timore di scoprirsi fragile. Era un cuore che intimamente esultava. Era poesia. Era lui.

Passano degli anni. Quel dattiloscritto diventa un libro mentre io prendo a lavorare in libreria. E appena mi è possibile organizzo un incontro. Una festa. La gente lo circonda d’affetto. Sissignore, affetto. Uno scrittore suscita mille reazioni – ho una discreta esperienza in materia, scruto di continuo l’umore dei lettori, quando coordino un evento. E, nella migliore delle ipotesi, sui loro volti leggo stima, rispetto, curiosità, interesse. Ma lui è un’altra cosa, la gente gli vuol bene. Perché? Non è normale, penso. O forse sì. Forse è una reazione naturale, se uno sa come parlare alle persone. Illuminismo del cuore, dicono di Candido. Ora ne comprendo il senso.

Parla dei suoi libri e i lettori lo ascoltano rapiti. Racconta la storia dell’uccellino che gli si posa sulla spalla e di lui che, un giorno capisce, deve imparare a cercare le parole giuste per descrivere le emozioni che lo attraversano; insiste, perciò, sul problema del linguaggio, e improvvisa una lezione di letteratura che conquista l’intero uditorio. Guardo tutte quelle facce: gente comune; nessun amico, o giornalista, addetti ai lavori e manoscrittari. Gente qualunque di mezz’età, invece. Padri di famiglia che hanno raggiunto la libreria dopo il lavoro; madri che hanno lasciato il figlio chissà dove – o, ahimè, nel settore Ragazzi a far danno; e chi ha il bambino piccolo, ora se lo tiene stretto in grembo cercando di non perdersi una parola di quest’uomo. Poi, quando la soggezione nei confronti del personaggio svanisce, cominciano a tempestarlo di domande. Si finisce come sempre per parlare della città e si sente – sembra quasi di toccarla con mano – un bisogno di capire, un’urgenza di civiltà che mi rende orgoglioso di fare questo mestiere. Per non dire della sensazione che mi sta infiammando in questo momento, mentre ascolto i lettori discutere tra loro, entusiasti come non li ho mai visti: che la Letteratura abbia riscoperto l’essenza più profonda del proprio ruolo in questa piccola libreria di provincia, mescolandosi finalmente tra la gente. E il merito è tutto suo.

La Capria e D’Urso

Mesi dopo lo raggiungo a Roma. Sono nel suo studio. D’istinto rivolgo l’attenzione all’imponente collezione di libri che riveste le pareti dello studio. Vorrei che m’illuminasse sulle centinaia di titoli che sto avidamente scorrendo con gli occhi. M’è già capitato di sentirlo parlare dei libri degli altri: Letteratura e salti mortali è un libro formidabile. Lui invece m’invita a uscire in terrazza, vuole farmi vedere il panorama, la città, i tetti di Roma, la luce che illumina le strade e la gente che passeggia; la vita. Poi mi dice: «Facciamo due passi?».

Sono a spasso per il centro di Roma con Raffaele La Capria al mio fianco, sono emozionato e felicissimo. Vorrei godermi in silenzio questo momento ma la conversazione prende piede e tra una battuta e l’altra ci ritroviamo davanti alla chiesa di Sant’Ignazio. M’invita a entrare. La chiesa é conosciuta per l’effetto trompe l’œil, un gioco di prospettive che sembra faccia muovere i dipinti sul soffitto. Mi appoggia una mano sulla spalla e mi fa camminare a testa in su perché mi goda lo spettacolo. Intanto, sento la sua voce che mi descrive la bellezza degli affreschi che mi sovrastano. E capisco la differenza che c’è tra il guardare e, no, il vedere non c’entra niente, so guardare e vedere anch’io, quanto meno perché i miei occhi sono più giovani dei suoi di quasi mezzo secolo. Il vero dono è un altro. È un sentimento della bellezza, quello che egli possiede. Gioia della conoscenza. E il talento di trasmetterla agli altri. È questa la vera lezione che sto apprendendo.

All’uscita c’imbattiamo in due turiste e mentre incespico con la lingua, lui, allegro e spigliato, le intrattiene col suo inglese: non so più chi tra i due abbia veramente trent’anni e chi novanta.

Siamo all’oggi. Una casa editrice ha deciso di pubblicare un mio libro. Vado a Roma per firmare il contratto e sento il bisogno di raccontargli tutto, di condividere con lui la mia felicità. Mi dà appuntamento sotto casa. Lo aspetto qualche minuto, poi lo vedo arrivare. Lui non si accorge subito della mia presenza e sembra avere un’espressione contrariata. Ma appena incrocia il mio sguardo mi rivolge un sorriso che mi riempie di gioia.

****

In quel momento, non badai all’importanza di quanto stava succedendo. Solo anni dopo m’è tornata alla mente quella scena, l’immagine di lui che a piccoli passi cammina per la strada. Un fotogramma, niente di più. Un ricordo al lampo di magnesio catturato mentre andavo avanti e indietro sull’altro lato del marciapiede.

Ho pensato a un testo scritto da Silvio Perrella, un brano letto anni prima e mai dimenticato, come le lezioni importanti. Un racconto impietoso, duro, che si fa fatica ad accettare. Descriveva la figura di Mario Pomilio – un Pomilio già in là con gli anni che, stanco, avanza con passo incerto lungo la strada, costretto per via della malattia a indossare delle scarpe da ginnastica. Ecco, io che Pomilio non sapevo nemmeno che faccia avesse, quel vecchio me l’ero sempre figurato con il viso di La Capria. Forse, perché pensare a Candido con delle scarpe da ginnastica era l’immaginepiù oltraggiosa che potesse concepire la mia fantasia, l’unica che combaciasse con la dolorosa descrizione tratteggiata da Perrella.

Un pensiero venuto a posteriori, così, per caso. Poi, quelle due immagini hanno finito per accavallarsi e confondersi l’una all’altra: il passeggiare lento e incerto di Pomilio e l’immagine reale di La Capria che s’avviava, claudicante anche lui, verso il luogo del nostro appuntamento. Ma, sembrerà assurdo, con un elegantissimo paio di mocassini ai piedi – l’ultimo, struggente insegnamento: aspirare al bello sempre, malgrado tutto. Eun’espressione, dopo avermi scorto tra la folla, che era la risposta a tutte le inquietudini. Allo smarrimento che alle volte ci assale quando la paura della morte ci prende alla sprovvista.

Ci accomodiamo in un bar, parliamo del tempo, di amici comuni, infine di libri. Intanto, ordina una fetta di torta – più gli anni passano più diventa goloso. Mi sembra di aver capito che alla sua età non dovrebbe mangiare certi cibi ma quand’è con me fa un piccolo strappo e mi piace vedergli assaporare la torta.

“Poesia”. È in circostanze come queste che mi torna alla mente quel racconto di Parise; sempre più vivido nella memoria perché ravvivato dall’esempio che il maestro mi offriva ogni volta che lo incontravo. In quel ritratto, un Comisso gravemente malato reagiva alla malattia con la stessa leggerezza con cui aveva celebrato i sensi da giovane. Ecco, io penso a Candido, alla gioia di vivere che gli ho visto mostrare in questi anni, e l’ultima cosa che mi viene da pensare è la morte. Penso alla vita, invece. Alla poesia. E, prima ancora, a quel sobrio, ispirato sentimento della ragione che lo contraddistingueva.

Mi sembra, a conti fatti, che il segreto sia tutto qua, in questo connubio; nella ricerca di un equilibrio autentico tra rigore e abbandono, tra passione da un lato e rigida logica dall’altro, èquesto il suo lascito, la strada che Raffaele La Capria ha tracciato nell’immaginario letterario, e nelle nostre coscienze di uomini.

Alla fine di quella strada c’è un bellissimo sogno. Pronto a deludere chiunque si provi a inseguirlo, eppure irrinunciabile, come tutte le utopie. Il sogno atavico e partenopeo dell’armonia perduta, e, per un fuggevole momento, ritrovata.

Davide D’Urso

  • “Poesia” è contenuto in “Sillabari”, di Goffredo Parise. Edizioni Adelphi, Milano 2009.
  • L’episodio narrato da Silvio Perrella è tratto dalla prefazione a “Una lapide in via del babuino”, di Mario Pomilio. Edizioni Avagliano, Cava de’ Tirreni 1991.
  • Il saggio di Perrella è richiamato anche da Antonio Franchini nel suo “Quando vi ucciderete, maestro?”.UE Feltrinelli, Milano 2019.
  • L’incontro con Pomilio gravemente malato è rievocatoda La Capria in “Napolitan graffiti”. Ora in “Napoli”. Mondadori 2022. 
  • “Poesia” è citato infine da Ernesto Ferrero nella prefazione a “Satire italiane”, di Giovanni Comisso. Longanesi, Milano 2008.

 

Davide D’Urso è scrittore, operatore culturale, libraio, dal 2013 dirige il punto vendita flegreo della catena Librerie.coop. Ha esordito con la raccolta di racconti Il paese che non voleva cambiare (Manni, 2007). Ha curato per il sito della Fondazione Premio Napoli la rubrica “In mezzo ai libri”, i cui racconti sono confluiti nell’antologia Incontri notevoli di un libraio militante (Valtrend, 2012). Nel 2013 ha partecipato all’antologia Fuoco sulla città (Ad Est dell’Equatore). Nel 2014 è uscito per Gaffi il romanzo Tra le macerie. L’ultima sua pubblicazione è I famelici del 2021 edita da Bompiani. Un suo racconto è inserito nella raccolta Gli occhi di Napoli, edito da Iod nel 2022.
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