Chi parla (e scrive) nelle poesie di Lorenzo Trigiani? E’ un’anima multipla, imprendibile, distribuita nella sequenza delle occasioni, imprecisabile eppure concentrata, riconoscibile a quanti già lo conoscono, eppure non identificabile solo con le categorie di quanti lo conoscono. Le poesie di Lorenzo contenute in Divieto di balneazione (peQuod, 2023) non sembrano nate da urgenza creativa, né dalla smania di comprimersi nell’approdo dei versi. Piuttosto si riversano in ritratti di attimi rallentati dal peso di ogni parola, nelle scorciatoie dei verbi essenziali, tra investigazione e immaginazione, tra disvelamento e pudore. Nella circolarità del mondo di cui l’autore dice e tace ci sono persone e paesaggi, mestieri e orizzonti d’acqua, città ed epoche, perfino passioni, stagioni e musica. In questo esercizio di diversificazione tutto dev’essere strettamente autobiografico. E se pure non lo fosse, restano tracce che indicano un cammino, una direzione dove guardare per seguire Lorenzo. Cos’altro potrebbe altrimenti convincere a scrivere poesie? E infatti di raccolte il pubblicitario di Manfredonia ne ha già scritte tre: Verme solitario, Solo posti in piedi, Oli esausti. Perché dunque lasciare segni, indizi, presagi, piccoli enigmi da risolvere nascosti tra il mare e i caratteri a stampa, tra la perentorietà dei titoli e le rivelazioni dei finali? Ciascuno si prenderà il suo tempo per leggere e decifrare, fermarsi a sfogliare le piccole pagine della silloge impreziosite dai disegni che sembrano fatti a china di Giuseppe Guida e mettersi in viaggio, ad esplorare. Prendendo posto sulla barchetta a vela che ci aspetta per salpare sulla prima di copertina, metafora di un topos narrativo dalle infinite evocazioni che non si satura mai, e che è richiamo a naviganti e cieli di stelle, traversate e distanziamenti, piccoli porti dai quali si a prono le rotte incerte e necessarie.