Librellula n° 17, Marzo 2023
Il prossimo 4 aprile arriverà in libreria Vecchiaccia, il nuovo libro di Fuani Marino, edito da Einaudi, mentre ancora è nelle sale italiane il film documentario diretto da Francesco Patierno, tratto dal precedente libro della scrittrice Svegliami a mezzanotte, pubblicato sempre da Einaudi.
Il suo non è un nome esotico, i genitori scelsero di unire la prima sillaba dei loro nomi, Furio ed Anita, per comporre il nome della loro bambina. La sua storia è quella di una giovane donna che, a trentadue anni, sceglie di compiere un gesto estremo, salvandosi dalla morte. Laureata in psicologia, giornalista per ‘Il corriere del mezzogiorno’ e lettrice accanita, attraverso un’indagine lucida e spietata, Fuani Marino ripercorre la sua vita; i rapporti con la famiglia d’origine e con quella, incombente ed estremamente formale, del marito notaio, figlio di notaio; la nascita di sua figlia Greta; ma, soprattutto, racconta il suo malessere psichico e la sua disperata solitudine interiore, utilizzando anche, come strumento di comprensione, la letteratura ed il linguaggio. Ho letto, con attenta partecipazione, sia il suo primo romanzo Il panorama alle spalle, edito da Scatole Parlanti, sia Svegliami a mezzanotte: libri sinceri, profondamente autentici, sapientemente analitici, che fanno male e non lasciano indifferente chi li legge. Con generosa ed immediata disponibilità, ha accettato di essere intervistata.
Il 4 aprile arriverà in libreria “Vecchiaccia”, nel quale parli di lockdown, della morte da fuggire e di quella desiderata, di disperazione e di speranza. Cosa rappresenta per te questo libro?
Per certi aspetti rappresenta una sorta di prosieguo rispetto a “Svegliami a mezzanotte” e ne approfondisce alcuni temi.
Hai tentato il suicidio a 32 anni, gettandoti dal quarto piano, quando tua figlia aveva quattro mesi. Si è tentato di nascondere la verità, ma tu hai scelto di raccontare quanto avvenuto, con molto coraggio. Scandalizza ancora la malattia mentale?
Scandalizza eccome. Del resto fino a cinquant’anni fa una persona col mio vissuto non sarebbe qui a rilasciare interviste ma in manicomio, verosimilmente. Si fa sempre riferimento al mio coraggio, a dimostrazione del fatto che ammettere di avere un disturbo psichico continua a rappresentare un rischio.
Raccontare la tua sofferenza è stato anche un atto politico, dopo secoli di silenzio e vergogna: che impatto ha avuto, nella tua vita familiare e relazionale?
Paradossalmente ha avuto un impatto maggiore in alcuni rapporti familiari che non nelle relazioni di amicizia. Forse perché i rapporti di parentela sono più forti, ma in generale mi sembra che a essere inaccettabile non sia tanto (o non sia solo) il disagio psichico con le sue conseguenze – il tentato suicidio, appunto – quanto l’averlo voluto raccontare.
“Il Panorama alle spalle” e “Svegliami a mezzanotte” hanno tantissime analogie: il primo un preludio al secondo, decisamente esplicito e raccontato in prima persona?
In effetti si può considerare così. Il panorama alle spalle è quasi un libro fantasma, che nessuno ricorda mai, ma gli sono legata e dentro c’è anche il ritratto di una Napoli inedita.
Riveli che tua madre ti leggeva “Morte a credito” di Celine, come favola per farti addormentare, e, sempre da bambina, hai affrontato da sola la lettura di “Infelicità senza desideri”, di Peter Handke. Cela anche questo l’ultima frase della lettera a tua figlia ‘Ogni persona ha la sua storia’?
Mi spaventa il potere dell’emulazione, o comunque volevo metterla in salvo con l’unica arma a mia disposizione: le parole. È vero che mia madre mi leggeva dei brani di Céline ma non lo faceva per addormentarmi, in realtà. Anche in una auto fiction è possibile trovare diverse parti romanzate.
Tu scrivi: ‘Il primo psichiatra non si scorda mai, soprattutto quando ti rovina’. La svalutazione del tuo disagio psichico e il negarti il ricovero che chiedevi ripetutamente, obbedivano all’esigenza di non apporti uno stigma. Un’evoluzione, nella scienza e nel sociale, si è registrata rispetto a dieci anni fa?
Non posso dire se siano stati fatti dei progressi, che in generale hanno bisogno di molto tempo per manifestarsi. Io sono senz’altro più consapevole, credo che mi comporterei diversamente.
Scrivere è stata, anche per te, una catarsi ?
Sin da ragazza, quando tenevo un diario, la scrittura ha sempre rappresentato uno strumento di comprensione delle cose che avvenivano dentro e fuori di me. In questo senso non è molto diverso coi libri che scrivo.