Intervista a Luca Signorini, di Cinzia Martone

3 Febbraio 2023

Febbraio 2023, Librellula n° 16

Quando studi al Conservatorio e la musica è al centro del tuo mondo, oltre i grandi compositori e le composizioni che si legano indissolubilmente alla tua vita ci sono persone, grandi artisti, maestri che segnano il tuo percorso in maniera diretta o indiretta. Alcuni hai la fortuna di incontrarli, altri pensi non li conoscerai mai. Eppure a me è successo di conoscere Luca Signorini grazie a Iocisto e all’amore per il libro, la scrittura e la cultura che unisce le persone.

Violoncellista affermato, compositore e scrittore; un uomo sincero e appassionato nella musica così come nella vita. Signorini è stato Primo Violoncello dell’Orchestra Sinfonica della Rai, dell’Orchestra Sinfonica dell’Accademia di Santa Cecilia, dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Il Teatro di San Carlo di Napoli gli ha offerto, per chiara fama, il posto di Primo Violoncello. Oggi è docente presso il Conservatorio di musica di Benevento e in qualità di scrittore ha pubblicato romanzi, saggi e scritto testi per il teatro. L’ultimo lavoro, che ho presentato in libreria il 19 gennaio con il professor Giuseppe Ferraro è Frammenti di un percorso. Appunti di un violoncellista nella collana Quaderni dell’Associazione PuntOrg pubblicato da Editoriale Scientifica.

 Un quaderno è un oggetto molto particolare, è strettamente personale da un lato perché riflette il nostro modo di tenere traccia di qualcosa (riflessioni personali, appunti), ma è anche un importante strumento didattico e divulgativo. Pensiamo ad esempio alle pubblicazioni periodiche di Istituti o Dipartimenti e frutto della ricerca che opera al loro interno). Come si colloca Appunti di un violoncellista. Frammenti di un percorso tra queste possibili accezioni del quaderno?

Il Quaderno titola Frammenti. Non è un saggio in senso stretto, ossia la visione e l’illustrazione d’un tema o parte di esso, meditandolo, sondandolo e proponendolo dall’angolo visuale dell’autore. Potrebbe questo Quaderno intendersi come mancante di scientificità, ossia di quell’oggettività necessaria nel trattare un tema. Oggettività tipica appunto dei quaderni dipartimentali universitari. Ma se considerassimo verità scientifica non singole sezioni ma l’insieme, il tutto – l’opposto di quanto la ratio odierna propone parcellizzando i saperi, ossia che verità scientifica è certa e appurabile nei particolari e il tutto non è che un’astrazione – allora questi frammenti diventerebbero nel loro insieme una verità tangibile; ogni frammento è funzionale a un dipinto che vuole mostrare, meditare, proporre ciò che è realmente musica, interpretazione, esecuzione tecnica, maturazione da uno stato d’apprendimento a uno stato di espressione soggettiva che si interfacci, scenda a patti, con i testi musicali.

Frammenti di un percorso contiene un dato, quello dell’empatia, che fa parte dell’approccio fenomenologico presente in psicologia e in filosofia. Un approccio che merita di essere risollevato e ricondotto alla sua importanza. Il Quaderno titola anche Percorso: nel quale cammino la meta da raggiungere è saldata al cammino stesso. Un cammino frastagliato che poggia su percezione, desiderio, suggestione. Sensibilità individuali, dati sfuggenti che si sottraggono al calcolo e si sottraggono ancor più tenacemente all’imperativo scientifico dei nostri tempi ossia misurare, precisare, definire attraverso linee, numeri, gli elementi della natura. Io propongo un testo nel quale la natura prevalga sul calcolo, nel quale forze non misurabili determinino l’aprirsi o il chiudersi di porte: le porte dell’illuminazione corporea ed emotiva; del sentimento, del progresso, del perseguimento d’una meta tanto solida e chiara quanto inafferrabile e fuori dal tempo e dallo spazio. La Bellezza? Forse, ma forse di più; è un percorso interiore. Ed è nel percorso – frastagliato appunto, atemporale, asistematico – che vive la meta da raggiungere.

Ci puoi raccontare brevemente la genesi dell’opera (in cui si intrecciano testi scritti, immagini, frammenti di brani musicali) alla luce sia della tua attività di saggista, narratore, autore di testi teatrali e della sua pubblicazione all’interno della prestigiosa collana Quaderni dell’Associazione PuntOorg?

Il Quaderno mi è stato proposto da Luigi Maria Sicca, curatore della collana, che insieme a Chiara Mallozzi ha passo passo seguito il lavoro in un confronto costante fatto d’idee, suggestioni, dialogo. Dissi che mi sarei sottratto ad un lavoro di tipo sistemico, didascalico, strettamente didattico; non avrei scritto un metodo piuttosto che consigli sull’esecuzione di questo o quel brano, o suggerimenti per evitare sgradite contrazioni muscolari, o come si interpreta questa o quella legatura. Avrei invece narrato determinati momenti della mia vita che al mio suonare sono legati, e dal mio suonare si sono diramati in immagini e consapevolezze inattese: avrei in qualche modo raccontato la mia vita. Per vita intendo ciò che di forgiante ho affrontato, con cui mi sono scontrato, da cui ho tratto insegnamenti profondi che trascendono il suonare. Siamo un fronte unico: suonare è vivere e viceversa. Lo stesso può dire, identificandosi con la sua professione, un medico, un giudice, uno psichiatra, un insegnante. Ho proposto passaggi che vedo come potenti astrazioni le quali, composte in un corpo unico, costituiscono la realtà tangibile del produrre suono, del come produrlo, del perché’ produrlo. Così, da un frammento all’altro, nascevano accostamenti in parte nati durante lo work in progress, in parte nati molto tempo fa nella mia immaginazione: quadri, frasi, ambienti, umori, gesti, toni di voce, volti. Una gran parte del Quaderno nasce dal non-verbale, linguaggio che non mente mai e che si incista nella nostra anima, suggerendo sentieri e desideri.

Cosa speri che un giovane musicista scopra e apprenda dal tuo percorso di vita e d’arte?

Ciò che desidero da un giovane studente alle prese con il mio Quaderno è esattamente la stessa cosa che ho letto io nei quadri, gesti, umori e volti di cui parlavo: desidero che la lettura stimoli in lui pensieri nuovi e costruttivi e che ne assorba il clima di fondo; che egli interiorizzi, canti in sé i frammenti, che si impossessi di queste pagine. Non deve studiarle, non deve ricordarle, non deve applicarle, come oggi il meccanicismo pretende dall’uomo, riducendone l’essenza a costrutto binario: deve sentirle, e da questi suoni ne traesse una tinta in più da utilizzare per disegnare la sua propria tela.

E’ frequente, anche in ragazzi molto giovani, un forte desiderio di visibilità, notorietà. Lo strumento musicale sembra trasformarsi in scudo e lancia d’un cavaliere medievale. Ragazzi diplomati che, consapevoli del proprio talento, sgomitano per apparire, più che per apprendere, in una donchisciottesca ed estenuante battaglia. Ho notato spesso come lo strumentista, da servitore della musica quale dovrebbe essere, si sia trasformato in calpestatore della musica. È giusto voler emergere – una pulsione sana e innata – laddove si ritenga di possedere le armi del talento per ambire al successo. È triste se questa pulsione sopravanza la dedizione artigiana, l’amore per l’Arte. È atroce quando l’ambizione fa dimenticare l’importanza del leggere, coltivarsi, del mantenere un profilo basso e incline all’apprendimento. Per non parlare della valutazione di un artista in base al suo guadagno economico: nel Quaderno, detto ora chiaramente ora tra le righe, esprimo il concetto del proprio piacere come punto ineludibile a che la comunicazione artistica sia efficace, e trovo irresistibilmente calzante un passaggio di Ezra Pound, che colloca nell’Inferno contemporaneo descritto nei XXX Cantos coloro che hanno messo la voglia di denaro davanti ai piaceri dei sensi. Se in qualche modo io favorissi un approccio alla musica sano e pulito da parte dei giovani (approccio che deve fare i conti con una società torbida, quindi si tratta di remare faticosamente ma orgogliosamente controcorrente) ne andrei fiero.

Spesso, nel testo, sottolinei l’importanza dell’ascolto della musica prima ancora che dell’esecuzione.

L’ascolto è tutto. Ascoltare vuol dire sottrarsi alla catena del Tempo alla quale siamo costretti. Ascoltare vuol dire uscire da sé stessi, aprirsi, imparare a dialogare. Vale non solo per la musica: oggi più che mai, dove un linguaggio ridotto ai minimi termini dai social sta sottraendo vita, anziché aggiungerla, a ogni relazione umana. Si impara ascoltando, non parlando. Si impara ascoltando molto prima e molto più profondamente che suonando. L’ascolto indica la via.

Leggendo Appunti di un violoncellista ci si accorge che la tua personalissima narrazione diventa anche quella di chi legge. Musica, arte e scrittura diventano alleate in questo meraviglioso coinvolgimento pur nella diversità di linguaggio di ciascuna. Dov’è il segreto?

Se penso a quel MI nota culminante nel Sehr Langsam della sonata op. 25 di Paul Hindemith penso a un urlo. Ossia la musica è anche espressione facciale, come un dipinto è anche racconto verbale, come un gesto casuale è arte. Non vi sono differenze tra vedere, ascoltare, muoversi, leggere, ricordare. Si è trattato di accostare a quel brano, o a quel frammento di brano, un’immagine; di sceglierla tra le immagini che mi venivano in mente spontaneamente oppure di sfogliare un libro d’arte per cercare la più attinente, secondo un gusto arbitrario sì, ma anche da intendersi come solida roccia, come sostegno emotivo all’effettivo produrre un suono in un preciso modo, attribuendogli una particolare e specifica importanza. Tutto si alimenta del tutto, nulla è scisso, separato, autonomo. In una partitura strumentale di Johann Sebastian Bach vi sono altrettante parole, immagini e gesti quante sono le frasi musicali.

Attraverso le parole descriviamo la realtà che ci circonda e diamo forma al nostro mondo interiore. Esse sono un potente strumento per costruire, ma anche per distruggere. Tu scrivi «A differenza delle parole, sembra che le note siano uguali in tutti i paesi del mondo: è lì che si annida il tradimento, il trabocchetto si nasconde».

Si, le note ingannano, sono segni sempre identici, è un alfabeto unico, e quando vi è un’unica (apparente) realtà si scivola nella semplificazione, nel tradimento della traduzione. Ancora una volta è nella non misurabile realtà dell’esperienza umana, realtà che si trasforma diacronicamente e diatopicamente come qualunque linguaggio, che risiede l’essenza di una corretta interpretazione. Non dico che per eseguire la musica di Bach sia necessario ascoltare il Cantor in persona suonare l’organo o osservarlo mentre dirige strumentisti e cantanti nell’esecuzione di una Cantata, ma che almeno ci si provi; che almeno ci si immerga nel suo mondo unico, che si avvicini alle sue emozioni, ai suoi vissuti. Che ci si sforzi di immaginarlo all’organo mentre improvvisa… Come? ascoltando il più possibile le sue opere e le opere di chi lo ha preceduto; leggendo il più possibile su di lui. E allora davvero le note smetteranno di essere tutte uguali e noi stessi potremo quasi essere Bach, senza snaturarci e senza tradirlo.

La musica come mestiere o arte? È questa una dicotomia insanabile o è possibile trovare un punto d’incontro?

La musica intesa come mestiere può diventare uno delle più brutte e avvilenti attività che si possano concepire. Davvero, sottrarre l’aura all’evento musicale, all’unicum di una performance, abbrutisce. Meglio lavorare in banca o alle poste, o fare il cameriere: è più sano. D’altra parte, la nostra società non consente di vivere aristocraticamente. E allora, se mestiere dev’essere, che se ne abbia consapevolezza: tra le pieghe di quel mestiere, di quella routine, si può sempre conservare uno spazio aristocratico nel quale la musica continui a vivere in termini di curiosità, di sentimenti, di scoperta, di stupore.

Cinzia Martone

La sinossi

LUCA SIGNORINI: FRAMMENTI DI UN PERCORSO – APPUNTI DI UN VIOLONCELLISTA (Editoriale Scientifica)

Non è la dimensione del lavoro, che pure ha i suoi traguardi, sconfitte, insegnamenti e conferme, ad essere la più significativa. Vi sono momenti particolari, intimi, suggestioni e associazioni d’idee, accostamenti emotivi tra realtà parallele e diverse, a fissarsi per sempre nella vita di chi ama ciò che studia, ciò a cui si dedica, ciò per cui spende una parte significativa dei propri migliori anni. La musica assorbe infinite energie, uno strumento musicale diventa specchio di se stessi, un confronto continuo con i propri limiti, e il mondo offre pure infinite, caleidoscopiche occasioni di riflessione. Il percorso dell’apprendimento non è mai lineare, procede per tappe senz’ordine, come nei sogni. Questi sono i frammenti di un violoncellista. Sono alcuni momenti, piccoli quanto potenti e indimenticabili, che hanno dato colore e sostanza ai miei sogni.

 

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