Marzo 2023, Librellula n° 17
Yuri Andruchovych romanziere, poeta, saggista, traduttore, è considerato autore di culto in tutta l’Europa centrale, in particolare in Ucraina dove è nato (nel 1960 a Ivano-Frankivs’k), vive e lavora. Ha partecipato attivamente alle manifestazioni di Piazza Maidan, alla Rivoluzione Arancione e gli sono stati attribuiti numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio per la Pace Erich Maria Remarque (2005), il Premio Hannah Arendt (2014) e il Premio Heine (2022). E’ membro della Deutsche Akademie für Sprache un Dichtung. L’ultimo romanzo appena pubblicato in Italia da Del Vecchio s’intitola Perversione, che in poche parole definirei così: sorprendente, intelligente, ironico, amaro, raffinato, elegante, colto. Dopo la lettura di Perversione ero così entusiasta che ho scritto a Viviana, l’amica che me l’ha fatto conoscere, questo messaggio: “Viviana, quest’uomo vince il Nobel per la Letteratura!”. E’ quel genere di affermazioni che, se non si avverano nessuno se le ricorda, ma che se si avverano guadagno milioni di punti… Quindi grazie a Del Vecchio, a Viviana Calabria e a IoCiSto che mi hanno dato il piacere e l’onore di fare due chiacchiere con un talento purissimo.
Yuri Andrukhovych benvenuto a Napoli alla libreria IoCiSto. Il tuo romanzo Perversione è del ’95. Che effetto ti fa vederlo finalmente tradotto in italiano?
E’ una gioia immensa anche perché sognavo questo momento da quando ho iniziato a scrivere il romanzo, quasi trent’anni fa. Io, come tutti, sono innamorato dell’Italia, in particolare dal marzo del ’92, quando sono venuto per la prima volta in Occidente e ho visitato Venezia. Ma è stata una visita di una ventina d’ore al massimo, sono arrivato la sera e il giorno dopo verso ora di pranzo sono andato a Ravenna e poi a Firenze.
Mi stai dicendo che hai scritto un romanzo, Perversione, che si svolge interamente a Venezia, in cui la città è descritta nei dettagli, dopo un soggiorno così breve? Io pensavo c’avessi vissuto…
Sì, però quando sono tornato in Ucraina ho fatto ricerche per quasi tre anni, raccoglievo qualsiasi cosa parlasse di Venezia in un’epoca in cui Internet e il computer non erano di nessun aiuto. Ovviamente era una sfida. Volevo essere estremamente preciso perché su Venezia ci sono migliaia di romanzi, con dei topoi universali. E dovevo trovare un compromesso: se volevo portare al limite estremo la fantasia, nel contempo dovevo avere una cura assoluta nella descrizione delle circostanze, del paesaggio, nel citare i nomi dei canali o dei palazzi. Degli errori topografici avrebbero svilito tutto.
Mi viene in mente Il pendolo di Foucault, dove Eco ebbe la cattiva idea di inserire un programma informatico sbagliato, che, come si dice, “non girava”…
Sì, non mi piace, dà un’idea di sciatteria
Ma allora perché proprio Venezia?
Diciamo che faceva parte del mio programma personale di scrittura, nel senso che da quando ho iniziato a scrivere volevo mandare i miei protagonisti in posti molto attraenti e così Venezia veniva dopo che nel mio secondo romanzo avevo “usato” Mosca (Moscoviade). In effetti è andata così: nel ’92 io ebbi la possibilità di stare tre mesi a Monaco di Baviera e avevo dei nuovi amici che mi proposero di andare con loro in auto in Italia per tre-quattro giorni, dicendomi di approfittarne perché effettivamente non sapevo se sarei potuto tornare in Occidente. Ottenni il visto austriaco e quello italiano (all’epoca non c’era Shengen) e così riuscii a fare la mia breve visita in Italia, il mio “Italienische Reise”. Però, non appena tornai a Monaco, cominciarono a darmi un po’ fastidio tante cose della Germania, l’ordine, la pulizia… Mi ricordo che scrissi una lettera a mia moglie (una lettera normale, non c’erano le mail) dicendole che volevo tornare in Italia tutte le volte che avrei potuto e lei mi rispose – la sua lettera arrivò una decina di giorni dopo – dicendo “scusa, perché non scrivi un romanzo sull’Italia?” Era un’idea brillante perché in questo modo era come se potessi vivere da voi…
E così arriviamo al ’95…
Ho iniziato a scrivere Perversione a dicembre del ’94 e ho scelto le date con molta consapevolezza. Io sono un po’ fissato coi numeri e, più precisamente decisi di iniziare il 13 dicembre, dandomi l’obiettivo di finirlo il 13 marzo ’95, il giorno del mio compleanno. E ce l’ho fatta. Erano tempi piuttosto drammatici per il mio Paese – ma diciamo che lo sono sempre -, ero un autore molto giovane e, dopo i miei primi due romanzi, volevo scrivere qualcosa con più estetica e politica, con un carattere giocoso, fantasioso, ma anche politico.
Ma, a proposito di viaggi… nell’agosto del 1971 con i miei genitori feci un viaggio in Europa dell’Est in treno e andammo in Unione Sovietica e in Ucraina…
Nel 1971? Eri un bambino…
Sì avevo una decina d’anni – sono del ’60 come te, anche se sembro molto più vecchio -. Mio padre era comunista e voleva dare un’occhiata a quello che pensava fosse un paradiso, ma tornò piuttosto avvilito. Ma anche a me sembrò un altro mondo. La domanda ai limiti del poliziesco è: cosa facevi nell’ agosto 71 a Ivano-Frankivsk? Com’ era la vita di un bambino al di là della cortina di ferro?
E’ una domanda molto interessante perché il mio prossimo libro si svolge esattamente a quell’epoca. Parla di un ragazzo di quell’età, non esattamente ucraino, ma che vive in un ambiente da Paese di socialismo reale, da qualche parte in Europa dell’Est. Ok, nel ’71?
Beh, nell’agosto del ’71…
Ovviamente ad agosto non c’era la scuola ed ero contento perché odiavo la scuola. Quell’estate passai tutte le vacanze a casa e mi dispiaceva. La mia famiglia con mia nonna viveva in una casa molto modesta e speravamo di avere dallo Stato un nuovo appartamento col bagno, tre stanze anziché due. Aspettavamo tutti di trasferirci in una di quelle palazzine in stile sovietico a tre piani (“Krushchyovka”), che erano tipiche dei primi anni Sessanta, ma che da noi erano nuove. Un’altra cosa di quell’estate è che imparai ad andare in bicicletta e mi regalarono la mia prima bicicletta, una bici per bambini arancione che si chiamava “Piccola Aquila”.
Tu hai partecipato ai 93 giorni di protesta di piazza Maidan, la rivolta (nov 2013 – febbraio 2014) che ha portato alla caduta del leader filorusso Yanukovych. Qual è stato il contributo degli intellettuali al cambio di rotta politico del Paese?
Maidan fu una situazione tragica a lieto fine. Fu un periodo molto positivo perché si affermava una nuova consapevolezza dell’essere cittadino. Maidan ha trasformato l’attivismo delle persone. Dopo Maidan molti poeti, scrittori, filosofi, artisti divennero i veri leader dell’opinione pubblica, formulavano un pensiero inaccettabile per chi era al governo, ma che il governo alla fine dovette accettare. Noi non potevamo più stare con due piedi in una scarpa, essere amichevoli contemporaneamente con la Russia e con l’Europa. Questo gruppo sociale costituito dagli intellettuali, soprattutto da giovani artisti spessissimo donne, divenne molto influente e diede un grosso contributo per avvicinare il Paese all’Europa e all’Occidente. La stessa vittoria di Zelenskyy del 2019 è il frutto di quanto accaduto a partire dal 2014, la società divenne consapevole di poter cambiare attraverso il voto e la democrazia. Oggettivamente fu un buon periodo, in cui siamo diventati tutti politicamente adulti.
Dalla lettura di Perversione uno dei tratti caratteristici che emerge è l’ironia, il sense of humor, diciamo noi dopo Calvino “la leggerezza”. Oggi, pensando al tuo Paese in guerra, che chiede e ha bisogno di armi, del piombo delle munizioni, dopo Bucha, Mariupol, Bakmuth, Cherson, riesci a scrivere con altrettanta ironia? Quanto incide la guerra sulla tua attività di scrittore, direi sul carattere della tua scrittura?
E’ una domanda aperta per me, non ho una risposta. Noi siamo nel mezzo di una tragedia, ma io penso che la grande Letteratura sia possibile con un approccio nel contempo umoristico e tragico. In particolare, se parliamo di Letteratura di guerra ci sono esempi come Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hašek o molte pagine di Remarque che sono piuttosto divertenti. Io direi che puoi essere serio e allo stesso tempo spiritoso. Il problema sono le proporzioni sulla base anche di quello che provi nel momento in cui scrivi. In ogni caso io penso che in questo momento sia utile per l’Ucraina avere un distacco umoristico, senza il quale non sopravviveremmo. E la gente lo capisce. Noi ora in Ucraina abbiamo tanto humor nero che arriva dai Social, specialmente se si ha notizia della morte di aggressori. E’ un modo per superare la paura, diventa qualcosa che ti sostiene.
Tornando a Perversione, a me è sembrato un romanzo profondamente europeo. Citi Rilke (Notturno veneziano e San Marco) e mi ha fatto pensare – ma posso senz’altro sbagliarmi – alle avanguardie del Novecento, ovviamente a Thomas Mann, a Brecht e a Kafka e, per finire, ovviamente al Maestro e Margherita, che pure aveva influenze rivenienti dalla letteratura europea. È come se il tuo libro volesse ricordare al lettore occidentale quanto la letteratura ucraina sia parte integrante della cultura europea. È corretto? Sei d’ accordo sul fatto che il tuo romanzo e più in generale la letteratura del tuo Paese siano profondamente legati alla tradizione mitteleuropea?
Assolutamente sì ed è un legame molto profondo. Anche la letteratura ucraina classica guardava all’Occidente e ai vicini europei anziché agli autori russi proprio per differenziarsene. Gli scrittori ucraini già dal XVIII secolo, benché fossero cittadini dell’impero e ammirassero gli scrittori russi, cercavano una propria autonomia spirituale. La letteratura ucraina moderna comincia a fine Settecento con un lungo poema in sei libri che è una parodia dell’Eneide [ Eneida di Ivan Kotlyarevsky ndr ] ed è il primo lavoro letterario pubblicato interamente in ucraino, in volgare, in quella lingua di tutti i giorni che l’impero scoraggiava nell’uso letterario. Gli ucraini hanno poi sempre tradotto tanto, soprattutto dal tedesco e dal francese e ovviamente dal polacco, dal ceco.
Anche dal russo?
No, non c’era bisogno perché ognuno era in grado di leggere il russo.
A questo proposito, mi sembra come se in Ucraina ci sia un conflitto più antico del 2014, che è il conflitto tra la lingua russa e quella ucraina. Esagero?
Sì ma non troppo. E’ un sottile e leggero conflitto. La gente in Ucraina si è abituata da molto tempo a cercare compromessi. Dal ’91 l’ucraino è diventata la lingua ufficiale del Paese, ma allo stesso tempo la maggioranza della popolazione parlava russo. La gente comune in genere parlava e si capiva in entrambi le lingue. Le tensioni però arrivavano quando c’erano le elezioni perché i partiti politici usavano durante le campagne elettorali il problema della lingua per mobilitare l’elettorato. Da febbraio scorso la gente nega di parlare russo, parla ucraino pensando che quella sarà la lingua del Paese del futuro. Io vivo in una città a Occidente che parlava quasi esclusivamente ucraino. Nel 2014 sono arrivati tantissimi profughi dalle zone di guerra che parlavano russo e un altro flusso molto consistente di persone di lingua russa c’è stato a febbraio dello scorso anno. Per cui ora nella mia città per strada senti tante persone che parlano tra di loro in russo; ma la cosa che lascia ben sperare per il futuro è che parlano ai loro bambini in ucraino. Ma io non sono mai stato per una promozione aggressiva della lingua ucraina. Io parlo alle persone sempre nella lingua che preferiscono. La lingua russa per me non è un problema. Io penso che l’Ucraina rimarrà un Paese con due lingue, ma attualmente l’invasione russa ha avuto tra i suoi effetti che l’ucraino sia diventata la prima lingua. Se leggi le statistiche circa l’80% delle persone dice di parlare solo ucraino, ma non è vero, è più un fatto psicologico, una proiezione di come vorrebbero parlare.
Scusa, ma mi sento quasi obbligato a chiedertelo: tu sei un convinto europeista, ma pensi che l’Europa stia facendo abbastanza per darvi una mano?
Se voglio essere moderato, apprezzo molto quello che sta facendo l’Europa, perché è un aiuto che ci consente di resistere, di sopravvivere, di salvare vite. Però io penso anche che non ci siano altre alternative: o gli europei ci danno tutte le armi che hanno e noi combattiamo e vinciamo, o gli europei combattono con noi nel nostro Paese. Il motivo è che questa guerra, al di là delle vite umane, deve finire in fretta perché è molto costosa. E l’unico modo per farla finire in fretta è che ci diate quante più armi è possibile.
Grazie mille Yuri, come fai dire a un tuo personaggio “auguro a te e al tuo Paese solo amore”
Gigi Agnano

Gigi Agnano, socio di IoCiSto e ideatore della Librellula